"Il Tempo Relativo" di T.Manco
Il tempo relativo
Secondo Jean Epstein, uno dei fattori più importanti dell’avvento del cinematografo è stato il suo avere profondamente modificato nell’uomo moderno la percezione e la rappresentazione dello spazio e del tempo. Grazie alle tecniche del ralenti e dell’accelerazione, infatti, il tempo mostrava per la prima volta una straordinaria elasticità.
La vera ottica, il vero binocolo che permette di ingrandire e di rimpicciolire il tempo per vedere che cosa succede quando lo si dilata o lo si comprime, è il cinematografo che di colpo lo ha fornito mediante i procedimenti del ralenti e dell’accelerazione. Grazie al cinematografo le variazioni di tempo sono entrate nel campo sperimentale. Ormai si possono conoscere innumerevoli grandezze e due sensi del tempo, così come sono note numerose grandezze e numerose direzioni dello spazio.
Fino ad allora il tempo era stato considerato uniforme e continuo, sia che lo si intendesse come Newton nel 1687 «assoluto, vero e matematico, che di per sé e per sua propria natura fluisce in modo eguale, senza relazione con alcuna cosa esterna», sia che lo si intendesse come Kant nella Critica della ragion pura (1781) come un tempo soggettivo a fondamento dell’intera esistenza, ma comunque universale.
Atomi di tempo
Le tesi sulla natura atomistica del tempo trovavano solide radici già nelle teorie di Newton, che concepiva il tempo come una somma di unità discrete, sebbene infinitamente piccole. Gli stessi orologi meccanici fornivano un modello parcellizzato del tempo, con i movimenti a scatti delle lancette e i rintocchi che ne sottolineavano sonoramente la natura atomistica. Nei laboratori sperimentali, come in quello di Gustav Fechner e Wilhelm Wundt, venivano utilizzati orologi e metronomi per analizzare la “vita” come se fosse composta da attimi di tempo misurabili. Il revolver fotografico di Janssen, progettato per riprendere le fasi del passaggio di Venere davanti al sole, era regolato da un meccanismo a orologeria. Muybridge e Marey studiarono il movimento atomizzandolo attraverso serie di fotogrammi e Marey chiamò questo nuovo metodo “cronofotografia”, ovvero letteralmente “fotografia del tempo”.
La nozione astratta del tempo “razionalizzato” andava a scontrarsi con l’assunto che esso fosse, nelle parole di Charles Sanders Peirce, «the continuum par excellence, through the spectacles of which we envisage every other continuum». La rottura del continuum temporale corrispondeva all’esperienza dello shock metropolitano, dove il tempo della modernità veniva vissuto come alieno e necessitava, secondo Benjamin, di «profonde modificazioni del complesso appercettivo – modificazioni che nell’ambito dell’esistenza privata sono subite da ogni passante immerso nel traffico cittadino, e nell’ambito storico da ogni cittadino». Questa rottura, soprattutto, si incarnava perfettamente nel dispositivo cinematografico: un film, infatti, è composto da fotogrammi statici e isolati, da istanti di tempo che quando vengono proiettati attraverso il cinematografo generano l’illusione del movimento e della continuità temporale.
Il concetto di tempo come flusso è strettamente legato alla teoria che interpreta la coscienza come un flusso e non come un agglomerato di idee e concetti separati. Il primo riferimento alla mente come a un “flusso di coscienza”, che anticipò la teoria bergsoniana della durée, apparve nel 1884 con On Some Omissions of Introspective Psychology, nel quale William James criticava la visione della mente di David Hume – il quale considerava la mente come un’insieme di entità separate (le idee) – e di Johann Herbart – che la considerava il prodotto di rappresentazioni separate. Nel 1890 in Principles of Psychology James definì la coscienza come un “fiume” o una “corrente”, come “un flusso di pensiero”. James riteneva che il pensiero non fosse composto da parti discrete ma che ogni momento della coscienza fosse la sintesi di un passato e di un futuro sempre in movimento, come un flusso.
Il rapporto tra elementi discreti e flusso venne approfondito da Bergson, per il quale la coscienza era un flusso continuo di successioni di stati, ognuno dei quali contiene quello che lo precede e preannuncia quello successivo. Sebbene Bergson considerasse l’immagine cronofotografica come un emblema della falsa costruzione del tempo e del movimento, gli artisti che desideravano dare una forma alla nuova esperienza del tempo descritta dal filosofo francese utilizzarono le immagini di Marey e del pre-cinema come un linguaggio capace di rappresentare la simultaneità e la durata.
Tratto da "LO SCHERMO PENETRANTE"
Il cinema scientifico e la cultura modernista di Tamaro Manco Dottorato di ricerca ed analisi del testo, 2009-2010 Università di Bergamo